Le Leggende delle Terre Perturbate: La leggenda delle Terre Perturbate
Aya (nome provvisorio non so mai che nomi usare nemmeno il mio) si guardò allo specchio del bagno: aveva i capelli gialli, gli occhi verdi come il mamba verde orientale (Dendroaspis angusticeps) e il fisico di un orso appena uscito dal letargo. Era alta come un albero alto 1.67. Si sedette sulla tazza del cesso. Invano. Sapeva che anche provandoci non era quello il momento ma questo non era che uno dei tanti problemi che l’affliggevano. Quella notte aveva dormito 3 ore. Meno del solito. Questo l’aveva portata a udire ciò che non mai udito prima. Girovagando per la casa alle 6 di mattina aveva sentito sua madre scoreggiare. Non pensava sua madre fosse in grado di fare qualcosa del genere. Chi avrebbe mai detto che potesse emettere una roba del genere? La figura perfetta di sua madre, spezzata. Ma dopotutto era anche l’ora di abbandonare certe fantasie infantili. Vabbe’.
Meglio tornare al problema precedente. La pupù. Aya aveva una precisa organizzazione per quanto riguarda questo momento giornaliero. L’aveva. Era solita andare in bagno ogni mattina prima di scuola. Puntuale. Ma un giorno era davvero in ritardo e così aveva deciso di uscire in fretta e furia pensando di trattenerla per poi farla a casa una volta tornata. Ingenua. Lo stimolo incessante l’aveva portata a fare la cacca durante le prime ore a scuola. Non è bello cagare nei bagni della scuola. Facendo ciò aveva distrutto il suo preciso programma. E l’intestino non le dava tregua. Era ormai da tre giorni che la faceva a scuola. Con il mento appoggiato alle mani intrecciate, pensava ad un piano. Bastava perlomeno resistere allo stimolo per un’ora, un poco per giorno finché non sarebbe riuscita a spostare l’orario della pupù a dopo la scuola. Anzi, a pensarci bene, utilizzare questo come orario è ancora meglio della mattina. Non c’è nessuna fretta dopo scuola ed è anche più simbolicamente liberatorio. Ma certo! Tutto andrà bene!
Guardò l’orologio del bagno. Era in ritardo. Corse in cucina per mangiare qualcosa e… Ah! Ogni mattina lo stesso problema: l’acidità di stomaco. Sapeva di dover mangiare perché dopo sarebbe stato anche peggio. Tuttavia il senso di nausea e di vuoto dello stomaco era destabilizzante. Un tempo poteva tranquillamente bere cappuccini come fossero delle tisane digestive ora non vi era una volta che bevuto il caffè, esso non si dibattesse ferocemente nello stomaco come una trota. Ma rinunciare al caffè? Be’ in ogni caso, non c’era tempo di pensarci adesso. Bevve una tazzina, prese lo zaino e la sciarpa, mise le scarpe e corse fuori con una fetta biscottata in bocca.
Quella notte aveva brinato di nuovo. La strada era un misto di fango e ghiaccio. Si lasciò alla sinistra l’albero appassito del giardino di casa. Era appena uscita dal viale quando il suo piede si scontrò contro qualcosa. La fetta biscottata volò via dalla bocca. Ah, era un teschio umano. Che palle, pensava di aver già pulito per bene il giardino dall’inondazione della settimana prima. Aya, prese il teschio e lo lanciò nello stagno acido del giardino. I piranha vi si avventarono ferocemente (se sei un pesce abituato a vivere uno stagno acido deve imparare ad essere più veloce degli acidi per consumare la tua preda). Poveretti però, era solo un osso. Con la pelle dei piranha ci si fanno le migliori armature. Ironicamente per poterli cacciare devi indossare un’armatura fatta con la loro pelle. Si narra di un coraggioso ed intelligente uomo che fu il primo che pensò di utilizzare la pelle dei piranha. Decise di usare la propria mano come esca e funzionò! Riuscì a pescare un pesce però perse la mano e più tardi la vita dato che ai tempi là in giro le condizioni igieniche non erano delle migliori. Ma quello fu l’inizio. Le armature di piranha non erano più solo il sogno di un visionario.
Comunque, Aya continuò per la sua strada. Il paesaggio consisteva in sì e no un paio di alberi, qualche sterpaglia e campi attraversati da canali. Una cinquantina di anni prima gli abitanti avevano provato ad irrigare i campi per coltivare i campi. Non era cresciuto niente.
Più avanti vi erano delle colline e oltre quelle la città dove si trovava la scuola. E più avanti in mezzo alla strada vi era un troll delle nevi con una ventiquattrore in mano.
- Salve, signore. Anche lei in ritardo oggi? -.
Il troll non rispose. Non perché fosse maleducato ma semplicemente perché i troll non parlano. E poi quella ventiquattrore non era nemmeno sua ma del signore che aveva appena mangiato. Era già la terza volta che quell’inverno che Aya si trovava davanti un troll. Ma dopotutto era così ogni inverno. Sulle montagne le prede erano scarne e i troll si spingevano fino a valle. Che ci puoi fare. Aya estrasse il suo fucile a canne mozze: una lupara. I suoi le avevano detto che lo aveva portato il nonno dalla terra. Si dice avesse origini calabresi. In ogni caso, il nonno doveva essere un ritardato se aveva deciso di trasferirsi su un pianeta di merda come questo.
Il troll iniziò a correre verso di lei. Aya prese la mira velocemente e lo colpì alla testa. Colpo perfetto. Fece bene attenzione a non sporcarsi la divisa scolastica. Non era ben visto arrivare a scuola sporchi di sangue. Ah! Aya sentì un doloro allo stomaco. Era giunta l’ora.
ECCOLO RAGA madonna finalemnte posso andaermen a vedere i lnuvo ep di love live
Capitolo 3.5 tutto fumo niente arrosto
Ehi, rieccoci brutti stronzi
Dove eravamo rimasti? Da nessuna parte.
Era solamente un altro giorno alla Scuola Superiore Politattica di Lux sul pianeta Cordelia. Era solamente un altro giorno di merda per Clarissa Kakuma.
Perché mai tutti i giorni dovevano essere di merda? In realtà è statisticamente impossibile che ogni giorno sia di merda. Poi la psiche umana non reggerebbe, no? Semplicemente il suo attuale stato emotivo la portava a vedere tutto di merda.
Nella 2°A Clarissa aveva un ruolo ben definito: l’ultima ruota del carro. Una sfigata. La gente andava da lei a chiedere di copiare i compiti o di farsi spiegare robe perché sapevano che lei non avrebbe mai detto di no. Non avrebbe mai risposto male o tirato fuori un coltello o preso una pistola e sparato un colpo in aria. Subiva. E ne soffriva. Era rinchiusa nella sua figura. La gente la vedeva in un modo e non riusciva a liberarsene.
Ma questo era un nuovo anno e le cose sarebbero cambiate.
Forse?
Magari…
Clarissa entrò in classe. Andava tutto bene. Non importava mica che Filomena Zurlì le avesse sgommato davanti sulla sua sedia a rotelle a motore a scoppio e che ora puzzasse. Tutto bene.
Perché non riusciva ad essere egoista come le sue compagne? A fregarsene degli altri?
Ora basta. Da oggi le cose sarebbe cambiate. Avrebbe mostrato la sua spina dorsale.
Oh, merda ecco che arrivavano le servette di Archise Tonzura Koite. Archise era così popolare che non copiava nemmeno i compiti, mandava gente a copiare per lei.
Be’ non c’è nemmeno da dire che Clarissa già si era cagata addosso (metaforicamente). Tutte le risoluzioni, si erano dissolte.
Sottomessa un’altra volta.
Ehi, Clarissa, ci potresti spiegare gli esercizi di matematica? - chiese una tizia non importante.
Clarissa fece un respiro profondo preparandosi ad esprimersi come suo solito: educata e sottomessa.
Allora brutte troiette se non sapete nemmeno fare questo problema siete proprio delle ritardate del cazzo c’è siete davvero qui in classe o siete autistiche ok dovete usare questa formula davvero cosa minchia ci vuole che perdita di tempo insegnare agli stronzi be’ per fare ‘ste robe dovete capire ‘sti teoremi del fanculo pezze di cazzo… - eccetera eccetera come ogni giorno aveva dovuto aiutare i suoi compagni. Non sono una persona ma solamente un oggetto da usare, con cui perdere del tempo perché non c’è nient’altro di meglio da fare.
Era persino peggio di Caruso Esposito. Proprio in questo momento stava avendo un’altra crisi ed era in lacrime però perlomeno Tatami Dojo sembrava davvero esserle amica.
Però non poteva abbattersi. Non era una stupida. Sapeva che per cambiare sarebbe servito del tempo. Come qualcuno aveva detto “talvolta per cambiare noi stessi dobbiamo prima cambiare il nostro aspetto per aiutare il nostro cervello” credo.
Sì! Il giorno dopo non sarebbe stata la solita Clarissa! Avrebbe sorpreso tutti tanto da farle chiedere alla prof se era una studentessa nuova.
L’indomani
Clarissa entrò in classe con una maschera da saldatore. Trepidante nell’attesa delle reazioni delle sue compagne. Si sedette al suo banco nel mezzo della classe. Tatami stava camminando da quella parte. Si fermò di fianco a lei e disse - Hai fatto bene a coprirti la faccia. Sei proprio un cesso -.